02 gennaio 2008

La vergogna di essere italiani

Sono profondamente convinto che gli italiani a cavallo tra il XX e il XXI secolo siano un popolo di perenni insoddisfatti. Ma il motivo della mia vergogna questa volta non è legato al fatto del giorno, o al sondaggio della rivista straniera di turno.
La colpa questa volta è di mia sorella.
Da un po' di anni i regali di Natale e di compleanno sono apparentemente scontati. Dico apparentemente, perché sotto la carta e il bollino della libreria, ho sempre trovato titoli stimolanti, che il più delle volte non scalano le classifiche di vendita.
Così negli ultimi anni ho potuto leggere Paolo Longo, Giampaolo Pansa, Jeffrey Sachs, e nell'ultimo periodo, a parte il best-seller Rizzo-Stella, mi hanno colpito due libri di storia, ma di quella storia che a scuola non insegnano.
Lo scorso anno è stata la volta di Giovanni Minoli che col suo Eroi come noi mi ha fatto scoprire le pagine più tragiche della storia italiana del dopoguerra, quelle che per molti sono state soltanto un periodo di lotta, di rivolta, di rivendicazione, ma che per molti altri hanno significato la perdita di un padre, di una madre, di un figlio troppo giovane.
Credevo di aver provato abbastanza vergogna per questa macchia nella nostra storia, ma non avevo ancora fatto i conti con un tale Mario Calabresi, figlio di un certo commissario Calabresi. Il nome l'avevo già sentito. Quando nell'introduzione incontro i nomi di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, qualcosa comincia a puzzare: nomi noti, troppo noti per non essere ricordati.
Il presentimento si realizza pian piano, macinando le pagine in una notte di capodanno, con gli orari ancora sfasati per avere sonno a mezzanotte. Il quadro che si va delineando nel racconto di Mario Calabresi è quello di un paese che dopo un'overdose di celebrazioni e di retorica, dimentica in fretta i propri eroi, ma lascia sempre spazi di dubbio, riabilitazione e illimitata libertà di espressione a chi è stato assassino, mandante, connivente, complice... in una parola, terrorista.
E il pensiero va a quelle tante, troppe famiglie, private del proprio futuro e nuovamente schiaffeggiate ogni volta che uno di quei "riabilitati" appare in televisione, sui giornali, negli scaffali di una libreria, spacciandosi per "opinionista", "attivista", "giornalista".
Sono questi i momenti in cui mi vergogno di essere italiano.
E mi fanno sorridere notizie apparentemente fiabesche come quelle dell'allargamento dell'Unione Europea, dell'area Euro e dell'area Schengen, e della presidenza di turno Slovena. In un continente dove si paga con le stesse banconote, dove sono sparite le frontiere, dove 400 milioni di persone (criminali compresi) possono girare liberamente senza esporre documenti, mi vien da ridere pensando che terroristi italiani si godono le proprie condanne definitive sulle rive della Senna, e che le nostre forze di polizia, solo perché indossano una divisa, si devono ancora fermare al confine di Ventimiglia.
Paradossi di un paese che, più che proiettato verso il futuro, sembra essere sempre più impegnato a vivere il presente, rimuginando sul passato.
Viva l'Italia!