31 luglio 2008

Roma come Baghdad... o le solite fesserie italiote?

Grande polemica in questi giorni per il cosiddetto "pacchetto sicurezza" proposto dal Governo che prevede, tra l'altro, 3000 soldati impegnati in compiti di ordine pubblico per sei mesi. Dopo giorni di fesserie televisive, ieri sera su Radio24 più di qualche ascoltatore contestava il provvedimento, delineando carri armati e bazooka in piazza nel prossimo futuro. 
Stimolato da tali castronerie, riflettevo sul fatto che i militari per le strade ce li abbiamo tutti i giorni fin da prima dell'Unità d'Italia, si chiamano Carabinieri e da solo 8 anni sono un arma autonoma del Ministero della Difesa (non dell'Interno), ma prima erano addirittura soldati dell'Esercito Italiano a tutti gli effetti.
C'è così tanto da scandalizzarci? Se non ci si scandalizza nel vedere i Carabinieri del Tuscania in zone di guerra, e neppure nel vedere i Fanti di Marina del San Marco in aree che di costiero non hanno proprio nulla, perché ci si dovrebbe scandalizzare per 3000 soldati professionisti, molto più addestrati di tanti giovani appuntati di provincia, messi a sorveglianza di stazioni, CPT e obiettivi sensibili?
Ma forse anch'io, nella calura estiva, sto commettendo lo stesso errore dei nostri governanti e dei giornalisti che li rincorrono. Dove sta il problema? Nei 3000 militari per le strade o nei 25.000 effettivi mancanti nelle forze dell'ordine? E se convenite con me che il vero problema è il secondo, non sarebbe più opportuna un'azione più lungimirante e meno propagandistica?
Penso a concorsi, a stanziamenti di denaro per stipendi, mezzi e carceri, e un'effettiva azione di reclutamento per le forze dell'ordine e per le forze armate. Ve la ricordate la famosa visita di leva? Quale migliore occasione, oltre che per conoscere lo stato di salute dei nostri giovani (uomini e donne), per presentare le opportunità professionali delle nostre forze armate e dell'ordine?
E ancora, in epoca di moltiplicazione dei corsi di laurea delle nostre università, non si potrebbero creare dei percorsi finalizzati all'istruzione del personale civile da introdurre nelle forze di polizia? Pensiamo che per trascrivere una denuncia, rinnovare passaporti o controllare gli zainetti ai concerti siano indispensabili agenti addestrati sottratti al controllo del territorio?
Tante idee, che probabilmente farebbero del bene al paese... ma occuperebbero molto meno spazio nel Tg del sera.

21 luglio 2008

Un gesto veramente europeista

Marzo 2009: elezioni del parlamento europeo, le prime a 27 stati. Ve lo immaginate se per la prima volta, dopo anni di doppi incarichi e poltrone vacanti, l'Italia decidesse di non consentire ai parlamentari europei di ricoprire altre cariche a livello nazionale e locale?
Senza parlamentari, ministri e consiglieri regionali impegnati nelle trasfertine a Bruxelles, riuscirebbero a campare lo stesso le nostre istituzioni? E tra i trombati e i politicanti di serie B che verrebbero esiliati a Strasburgo, non potrebbe emergere qualche convinto europeista, capace di guardare al di là della mera politica italiana di piccolo cabotaggio?
Mah... probabilmente sarebbe un gesto talmente semplice e lungimirante, che difficilmente potrà essere realizzato dai nostri governanti.

09 marzo 2008

Un paese che vive di rendita

Nel clima di demenzialità della campagna elettorale in corso, in un paese abituato ormai da decenni al cabotaggio, mi sono imbattutto su un articolo di Giorgi, sul Mattino di Padova. Sembra che l'ennesimo scandalo italiano si stia consumando attorno alla ricostruzione dell 'ultimo Bucintoro. Di per sé, è già abbastanza scandaloso che Venezia, per secoli potenza navale del Mediterraneo, non abbia un museo navale degno di questo nome. Visitare il museo di Barcellona, la ricostruzione della galea don Giovanni d'Austria a grandezza naturale, ed immergersi in secoli di storia navale, è un emozione indiscrivibile per gli appassionati, e una piacevole parentesi culturale per i semplici turisti.
Già all'epoca della mia visita provai ad immaginarmi un museo navale a Venezia, immerso tra la storia della Serenissima e il fascino della città.
Attraverso l'articolo di Giorgi, ho potuto scoprire cosa stanno combinando i francesi a Rochefort: un'autentica americanata! Dal 1997 stanno ricostruendo la fregata Hermione, e attorno al cantiere è sorto un vero e proprio polo turistico: migliaia di visitatori, souvenir venduti e contributi economici per vedere niente più che un'enorme falegnameria in azione. Il tutto in pieno stile americano: creare la storia dove la storia non c'è o non ha lasciato traccia.
E allora, a noi che viviamo in un paese-museo, con città di provincia che hanno più storia di altre nazioni nel loro insieme, verrebbe da chiederci: siamo capaci soltanto di vivere di rendita?
Se non fosse per gli antichi Romani, per la Chiesa e per le dinastie succedutesi in regni e ducati, avremmo qualche possibilità di attirare turismo culturale?
Ci dimostriamo tanto orgogliosi quando si tratta di recuperare qualche opera d'arte dall'estero, e non riusciamo a renderci conto che, con un po' d'ingegno e efficenza, potremmo creare milioni di posti di lavoro e salvare gli aeroporti in crisi solo facendo fruttare ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra storia.

28 febbraio 2008

Contraddizioni di fine febbraio

Una domenica sera decido di coronare un sogno che accarezzo da tempo: l'acquisto di un cavalletto fotografico. Scelgo il modello, confronto i prezzi e nonostante quello minore sia in un eshop tedesco (il cavalletto è prodotto a Bassano - Italia!), decido di acquistarlo su un negozio online italiano. Ordinato e pagato il lunedì mattina, spedito il pomeriggio e consegnato il martedì.
Bravo Italsystem e bravo Bartolini.
La stessa domenica mi accorgo che il libro che sto leggendo ha una quartina doppia e una mancante. Faccio una foto, mando un'email alla casa editrice ma non ricevo risposta. Il mercoledì (dopo 3 giorni) trovo a casa un pacchetto postale con una nuova copia del libro in questione, spedito il giorno precedente.
Brava Sperling & Kupfer e bravo SDA.
Ora, si parla di paese in ginocchio al motto di "rialzati Italia!", di spietata concorrenza cinese, di tassazione elevata, di costo del lavoro insostenibile, di settore privato fossilizzato quasi al livello del pubblico.
Senza negare tutte queste considerazioni del momento, io credo ancora in un'Italia assetata di successo, piena di creatività e alla ricerca di efficienza e competitività.
Ciò che mi chiedo è se i grandi gruppi industriali e di servizi saranno all'altezza di sostituire il piccolo e medio imprenditore, quello fattosi da solo partendo dall'intuizione geniale o da una straordinaria abilità, che ormai sta scomparendo, demotivato più dalle tasse e dalle burocrazia che dalle sfide del mercato.
C'è ancora spazio nei giovani per la cultura dell'imprenditorialità?
Siamo alla ricerca dell'idea che ci può cambiare la vita o ci accontentiamo del posto fisso da 1000 euro al mese?
Forse ciò di cui abbiamo veramente bisogno è di uno Stato che ci lasci essere un po' più "italiani", scanzonati e geniali come siamo sempre stati.

18 febbraio 2008

La mia idea di gruppo di AC

Prima Pier Giorgio, innamorato della montagna. Poi Vinicio, che sui monti è rimasto per sempre. Infine Tonino, un vescovo di pianura che parla di cime. Sono tante le persone che mi hanno portato a pensare che l’AC è come un sentiero di montagna.

È bella la montagna, ma non bisogna mai scherzare con la montagna. La montagna richiede idee chiare: serve un punto di partenza, un punto d’arrivo e un percorso da seguire; non si va a fare quattro passi in montagna! La montagna richiede esperienza, la propria o quella dei compagni di viaggio. Si, perché in montagna servono anche i compagni, per sostenersi nei momenti di difficoltà e godere assieme dei traguardi raggiunti. Ci vuole fede in montagna, perché non sempre la vetta è davanti ai nostri occhi. Ci vuole coraggio e determinazione, perché gli indecisi rimangono a pasteggiare nel caldo dei rifugi. Bisogna essere semplici e adattarsi in montagna, perché nessun zaino può contenere tutte le comodità quotidiane di cui siamo schiavi. Infine, bisogna sapersi emozionare in montagna, perché la gioia di arrivare in vetta va gustata come il più prezioso dei regali.

02 gennaio 2008

La vergogna di essere italiani

Sono profondamente convinto che gli italiani a cavallo tra il XX e il XXI secolo siano un popolo di perenni insoddisfatti. Ma il motivo della mia vergogna questa volta non è legato al fatto del giorno, o al sondaggio della rivista straniera di turno.
La colpa questa volta è di mia sorella.
Da un po' di anni i regali di Natale e di compleanno sono apparentemente scontati. Dico apparentemente, perché sotto la carta e il bollino della libreria, ho sempre trovato titoli stimolanti, che il più delle volte non scalano le classifiche di vendita.
Così negli ultimi anni ho potuto leggere Paolo Longo, Giampaolo Pansa, Jeffrey Sachs, e nell'ultimo periodo, a parte il best-seller Rizzo-Stella, mi hanno colpito due libri di storia, ma di quella storia che a scuola non insegnano.
Lo scorso anno è stata la volta di Giovanni Minoli che col suo Eroi come noi mi ha fatto scoprire le pagine più tragiche della storia italiana del dopoguerra, quelle che per molti sono state soltanto un periodo di lotta, di rivolta, di rivendicazione, ma che per molti altri hanno significato la perdita di un padre, di una madre, di un figlio troppo giovane.
Credevo di aver provato abbastanza vergogna per questa macchia nella nostra storia, ma non avevo ancora fatto i conti con un tale Mario Calabresi, figlio di un certo commissario Calabresi. Il nome l'avevo già sentito. Quando nell'introduzione incontro i nomi di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, qualcosa comincia a puzzare: nomi noti, troppo noti per non essere ricordati.
Il presentimento si realizza pian piano, macinando le pagine in una notte di capodanno, con gli orari ancora sfasati per avere sonno a mezzanotte. Il quadro che si va delineando nel racconto di Mario Calabresi è quello di un paese che dopo un'overdose di celebrazioni e di retorica, dimentica in fretta i propri eroi, ma lascia sempre spazi di dubbio, riabilitazione e illimitata libertà di espressione a chi è stato assassino, mandante, connivente, complice... in una parola, terrorista.
E il pensiero va a quelle tante, troppe famiglie, private del proprio futuro e nuovamente schiaffeggiate ogni volta che uno di quei "riabilitati" appare in televisione, sui giornali, negli scaffali di una libreria, spacciandosi per "opinionista", "attivista", "giornalista".
Sono questi i momenti in cui mi vergogno di essere italiano.
E mi fanno sorridere notizie apparentemente fiabesche come quelle dell'allargamento dell'Unione Europea, dell'area Euro e dell'area Schengen, e della presidenza di turno Slovena. In un continente dove si paga con le stesse banconote, dove sono sparite le frontiere, dove 400 milioni di persone (criminali compresi) possono girare liberamente senza esporre documenti, mi vien da ridere pensando che terroristi italiani si godono le proprie condanne definitive sulle rive della Senna, e che le nostre forze di polizia, solo perché indossano una divisa, si devono ancora fermare al confine di Ventimiglia.
Paradossi di un paese che, più che proiettato verso il futuro, sembra essere sempre più impegnato a vivere il presente, rimuginando sul passato.
Viva l'Italia!